Ad oggi, con lo scopo di raggiungere obiettivi di sostenibilità, sono previste tecnologie per il trattamento della CO2 classificate in CCS (Carbon Capture and Storage) e CCU (Carbon Capture and Utilization) che prevedono sequestro, compressione, trasporto e stoccaggio o utilizzo \cite{Zhang_2018}. I metodi di sequestro della CO2 prevedono la cattura direttamente da fonti di emissione, essa può avvenire attraverso la tecnica di pre-combustone, post-combustione e ossicombustione \cite{Yadav_2022}. Dopo la cattura e la compressione segue la fase di trasporto che avviene tramite condotte oppure su nave, dove la CO2 dev’essere compressa e liquefatta quindi risulta più costoso come metodo \cite{Cu_llar_Franca_2015}. Dopo il trasporto, il destino della CO2 cambia a seconda della tecnica con cui viene trattata. Nel caso di CCS la CO2 viene immagazzinata in siti di stoccaggio aventi profondità superiori ai 1000 metri come, ad esempio, giacimenti di petrolio, gas esauriti e carbone o falde acquifere \cite{Li_2013}. L'approccio CCS risulta fattibile ma con elevati consumi energetici. Il metodo CCU è una tecnologia innovativa dove la CO2 catturata viene riutilizzata per la produzione di prodotti ad alto valore aggiunto. È una tecnologia nascente \cite{Daneshvar_2022} che sta acquistando interesse tra la comunità tecnico-scientifica per le applicazioni di processi chimico-fisici e biologici. Tra le tecnologie CCU, le biotecnologie stanno attirando l’attenzione come processi sostenibili sia dal punto di vista economico che ambientale, esse si servono di microrganismi fotosintetici come le microalghe \cite{belgiorno} in grado di fissare la CO2 e \cite{v2009} contemporaneamente convertirla in biomassa valorizzabile \cite{Daneshvar_2022}.
Le microalghe sono state scelte per l’elevata capacità fotosintetica attraverso cui sono in grado di fissare CO2 e trasformarla, attraverso reazioni chimiche, in sostanze più complesse per il nutrimento \cite{Vassilev_2016}. Per soddisfare il fabbisogno nutritivo richiedono principalmente elementi come carbonio, azoto e fosforo \cite{Bourgougnon_2021}. Come sottoprodotto, derivante dal processo fotosintetico, rilasciano ossigeno ma soprattutto producono biomassa ricca di carboidrati, proteine, lipidi, polimeri che può essere riutilizzata come materia prima in diversi settori \cite{Fern_ndez_2021}, la biomassa quindi risulta una risorsa riutilizzabile \cite{Naddeo_2021} . I sistemi convenzionali per la coltivazione di biomassa algale possono essere aperti “Open Ponds” (Fig. 1) o chiusi “Fotobioreattori PBR”.
I sistemi aperti risultano economici e di facile manutenzione ma il diretto contatto con l’ambiente è un limite, perché espone la coltura a rischi di contaminazione da parte di organismi esterni \cite{Ugwu_2008}. I fotobioreattori, invece, non offrono alcuno scambio con l’ambiente esterno dato che sono formati da contenitori chiusi \cite{Suparmaniam_2019}. Riescono ad offrire un controllo maggiore dei parametri che ne influenzano la crescita come pH, nutrienti, concentrazioni di CO2, intensità di luce, miscelazione, salinità \cite{Alami_2021}. La luce insieme alla sue caratteristiche come intensità luminosa, lunghezza d’onda, tipologia di sorgente luminosa e fotoperiodo, è un fattore di crescita influente \cite{Yen_2019}. Le diverse specie di microalghe sono in grado di assorbire lunghezze d’onda tra i 400 e 700 nm \cite{Kim_2013}. La porzione dello spettro delle radiazioni elettromagnetiche luminose è il principale fattore che determina l’incremento della crescita, oltre all’efficienza dei sistemi chiusi di coltivazione PBR microalgali \cite{Nwoba_2019}. Lo studio ha previsto un’attività sperimentale condotta presso il Laboratorio di Ingegneria Sanitaria Ambientale (SEED) dell’Università degli Studi di Salerno dove il Gruppo di ricerca di Ingegneria Sanitaria Ambientale ha realizzato un innovativo sistema di foto-bioreattori algali connessi a colonna di adsorbimento per la coltivazione di biomassa valorizzabile e cattura di CO2.
Materiali e metodi
Per il trattamento delle emissioni climalteranti è stato adoperato un sistema biologico innovativo a base di microalghe per trattare la CO2 contenuta nelle emissioni e per la contemporanea produzione di biomassa. La specie algale utilizzata è stata la Chlorella Vulgaris, specie eucariota di diametro variabili da 2 a 10 μm \cite{Safi_2014}, coltivata in fotobioreattori con Bold’s Basal Medium (BBM). Il set-up sperimentale è composto da due foto-bioreattori con funzionamento in parallelo, alimentati con stesse concentrazioni di CO2 in ingresso (5%) e stessa portata di ricircolo (100 ml/min). I due foto-bioreattori PBR1 e PBR2 sono fatti di plexiglass trasparente per permettere la penetrazione della luce. Essi differiscono per il sistema di illuminazione, in particolare per la lunghezza d’onda emessa dalle sorgenti luminose a LED che risultano essere rispettivamente bianca e viola. Scopo dell’attività è stato quello di individuare la lunghezza d’onda più efficiente tra bianca e viola in grado di massimizzare la produzione di biomassa e l’efficienza di rimozione di CO2.
Per ogni fotobioreattore sono stati disposti 4 luci LED con stessa intensità luminosa pari a 8000 lux. Il sistema di illuminazione ha previsto un funzionamento automatico con fotoperiodo luce-buio pari a 12:12 ore. L’immissione di aria all’interno del sistema è stata effettuata in modalità continua durante l’intera attività sperimentale tramite un compressore, mentre per la CO2 è stata introdotta per una durata di sei ore attraverso una bombola di CO2. I due gas sono stati miscelati in un gas sampling tube prima dell’immissione nel mezzo di coltura, garantita da diffusori posti nella parte inferiore della colonna di adsorbimento. La portata di ricircolo è pari a 100 ml/min e viene immessa da una pompa (LEADFLUID WT600S) azionata per una durata di sei ore e mezzo.