Il settore agroalimentare in generale e in particolare il settore lattiero caseario è responsabile di produrre un elevato quantitativo di emissioni di CO2 equivalente, circa il 5% delle emissioni globali di gas ad effetto serra (Tukker et al., 2006), in particolare gli allevamenti per la produzione di latte sono responsabili di circa il 2,8% del totale dei GHG di origine antropica (FAO, 2010) a causa della fermentazione enterica delle vacche da latte, la gestione delle deiezioni animali e l’utilizzo di fertilizzanti, pesticidi ed altri prodotti chimici. Sta crescendo, perciò, l’interesse delle aziende lattiero casearie a valutare le proprie emissioni di gas ad effetto serra al fine di ridurle e gestirle in maniera ottimale e di comunicare il proprio impegno al pubblico \cite{biogas} . Da qui il concetto di sviluppo sostenibile orientato al miglioramento della qualità della vita per tutti i cittadini senza incrementare l’uso delle risorse naturali oltre la capacità che l’ambiente ha di fornirle. Alla base di ogni strategia per limitare gli effetti e la portata dell'inquinamento ambientale sta l'adozione di tecnologie produttive pulite, che consentano di:
Possiamo affermare che lo sviluppo energetico sostenibile a livello ambientale significa incrementare il risparmio energetico, promuovendo lo sfruttamento delle energie rinnovabili di pari passo con lo sviluppo di tecnologie di conversione più efficienti \cite{ambientale}  .
 

LA FILIERA LATTIERO CASEARIA

 Il settore lattiero caseario è responsabile di produrre un elevato quantitativo di emissioni di CO2 equivalente, circa il 5% delle emissioni globali di gas ad effetto serra ed è anche responsabile del 10% dell’eutrofizzazione potenziale, del 5% dell’acidificazione e del 4% della formazione di ozono fotochimico a livello mondiale (Tukker et al., 2006). Il settore lattiero caseario europeo rappresenta uno dei player più importanti a livello mondiale sia in termini di importazioni sia in termini di esportazioni. La produzione relativa all’anno 2013 è stata di 30.848.000 tonnellate di latte ad uso alimentare e 79.384.000 tonnellate di formaggio nei paesi membri dell’Unione Europea-UE-28 (Fonte CLAL). Nel contesto nazionale la filiera agroalimentare, dalla agricoltura alla distribuzione, costituisce la prima filiera economica italiana e all’estero rappresenta una delle più note e diffuse forme di promozione del “Made in Italy” nel mondo, contribuendo con un’ampia offerta di prodotti di alta qualità riconosciuta e apprezzata, alla promozione dell’immagine complessiva dell’Italia nel mercato globale \cite{2020,Kishida_2017} .
Fra i settori maggiormente produttivi dell’industria alimentare italiana spicca quello lattiero-caseario che risulta essere al primo posto per fatturato totale.
Nel 2013 la produzione italiana di latte ad uso alimentare è stata pari a 2.448.000 t e la Produzione formaggi da latte bovino pari a 1.017.000 t; la gran parte della produzione di latte e derivati, è concentrata nel Nord Italia, in particolare in Lombardia e in Emilia Romagna.
Il patrimonio bufalino nazionale al 31/11/2015, secondo i dati ricavati dalla Banca Dati Nazionale (BDN) ammontava a 375.282 capi, di cui circa il 74% allevato in Campania, il 17% nel Lazio, il 2,6% in Puglia e l’1,77% in Lombardia, mentre il restante è suddiviso tra le altre regioni italiane con percentuali che vanno dallo 0,8% allo 0,01%, eccezion fatta per la Valle D’Aosta e Trentino Alto Adige, sul cui territorio non sono presenti capi bufalini \cite{caseifici} 
Nella regione Campania l’allevamento viene praticato da quasi 1.500 aziende situate soprattutto nelle province di Salerno e Caserta, con piccoli insediamenti anche nella provincia di Napoli, Avellino e Benevento. La dimensione media di queste aziende è decisamente più elevata della dimensione media rilevata in quelle bovine (più di 100 capi bufalini contro circa 14 capi bovini ad azienda); ciò denota la maggiore dimensione delle aziende, spesso con addetti alle dipendenze e con produzione integrata verticalmente, eseguendo direttamente la caseificazione del latte prodotto \cite{caseificia} .
Per quanto concerne il settore produttivo in Campania complessivamente, sul territorio regionale sono presenti circa 844 aziende casearie distribuite in 280 dei 550 comuni della Campania; in dettaglio, sono presenti circa : 120 aziende in provincia di Avellino, 57 in provincia di Benevento, 202 in provincia di Caserta, 239 in provincia di Napoli ed, infine, 226 in provincia di Salerno.
In regione Campania, relativamente all’anno 2009, erano presenti in regione 872 aziende lattiero-casearie, delle quali solamente 681 hanno fornito dati; i quantitativi di latte complessivamente trasformato sono stati di oltre 6.4*106 ql, distinto in ovi/caprino (0.55%), bufalino (36.87%) e vaccino (62.58%), con una netta prevalenza di latte vaccino. Come abbiamo già evidenziato, il 91.36% delle aziende bufaline è orientato alla produzione esclusiva di latte. Nel 2014, secondo i dati del consorzio di tutela1 , la produzione di latte di bufala ha registrato il suo record storico, con un quantitativo di 38.068.892 kg di Mozzarella certificata DOP prodotta, segnando un incremento del 2% rispetto all’anno precedente.
 

LE PROBLEMATICHE LEGATE AL SETTORE

 L’allevamento di bufale rappresenta il fulcro dell’economia di alcune aree del nostro paese nello specifico della Regione Campania, ed è alla base di rinomati e pregiati prodotti gastronomici, commercializzati e diffusi nel mondo. Tuttavia, le aziende bufaline devono essere attrezzate con sistemi adeguati per provvedere al soddisfacimento del fabbisogno idrico e allo smaltimento dei reflui  \cite{Ensano_2019} . Relativamente ai reflui, la produzione bufalina nella Regione Campania ammonta a circa 5 Milioni di m 3 /anno, ancora oggi in gran parte smaltiti ricorrendo alla pratica dello spandimento su suolo. Per quanto riguarda, invece, l’approvvigionamento di acqua, va considerato che in un’azienda di bufale il consumo medio per capo è dell’ordine di 190 l/giorno, per cui a livello regionale è stimabile un fabbisogno complessivo annuo di circa 11 milioni di m 3 , che ovviamente non sempre è di agevole ed immediata disponibilità  \cite{Naddeo_2013b,Naddeo_2013a} . Il ricorso allo spandimento sul terreno, un tempo molto diffuso, è sempre di più ostacolato dall’emanazione di severe norme in campo ambientale, basate sui contenuti della Direttiva Comunitaria 91/767 (cosiddetta Direttiva nitrati), che fortemente hanno inciso sulla sviluppo della filiera produttiva bufalina regionale. Importanti oltre a quanto già espresso sono le problematiche legate alle emissioni dei gas serra, al consumo energetico e alla degradazione del suolo, tutti fattori di notevole importanza  \cite{2012,Naddeo_2012a}.  
 

POSSIBILI TRATTAMENTI

Per ovviare alle problematiche precedentemente descritte e adeguarsi alle varie norme in campo ambientale sempre più severe, la filiera è alla ricerca sempre di nuove tecnologie in grado di rendere più sostenibile il settore\cite{Naddeo_2007,Naddeo_2013a}. Tra le tecnologie messe a punto per il trattamento dei rifiuti provenienti sia dall’ allevamento come reflui zootecnici, acque di lavaggio delle stalle ecc. e  sia dalla produzione come sottoprodotti siero, scotta, acque di filatura, acque di lavaggio e disinfezione degli ambienti di produzione e  altri rifiuti provenienti dalle attività giornaliere dei caseifici, ricordiamo:
Vediamo adesso nel dettaglio le vari possibilità di trattamento riferite a diversi casi studio delle varie frazioni derivanti dai rifiuti appena espresse ossia solida , liquida , aeriforme.
Frazione solida: il Compostaggio.
E’ un "processo aerobico di decomposizione biologica della sostanza organica che avviene in condizioni controllate (Garcia et al., 1992; Schelegel, 1992), che permette di ottenere un prodotto biologicamente stabile in cui la componente organica presenta un elevato grado di evoluzione; la ricchezza in humus, in flora microbica attiva e in microelementi fa del compost un ottimo prodotto, adatto ai più svariati impieghi agronomici, dal florovivaismo alle colture praticate in pieno campo. Importante per le aziende di allevamento che possono disporre di deiezioni zootecniche è il compostaggio di materiali ligneo-cellulosici di recupero (paglie, stocchi, residui colturali diversi) che vengono mescolati alle deiezioni tal quali o trattate.
Frazione liquida: Utilizzo Reflui In Agricoltura.
Dall’analisi della letteratura relativamente alla sperimentazione agronomica sull’utilizzo del siero e degli effluenti si osserva che sono stati ampiamente documentati effetti di incrementi produttivi su numerose colture erbacee di pieno campo, quali cereali autunno-vernini, mais e colture da foraggio, grazie al significativo apporto di elementi nutritivi che la distribuzione dei reflui comporta. Sotto il profilo agroambientale, però, alcuni parametri qualitativi degli elementi possono porre alcuni limiti alla “compatibilità ambientale” dello spargimento diretto sul terreno agrario dei reflui dei caseifici. Questi fattori sono rappresentati dal pH, dalla salinità e dalla concentrazione di alcuni elementi, che, pur non raggiungendo valori tali da impedirne l’utilizzo diretto sul terreno agrario, sicuramente suggeriscono l’adozione di alcune precauzioni in relazione alle condizioni pedoclimatiche ed alle colture interessate. In conclusione l’impiego dei reflui caseari in agricoltura, anche se poco diffuso e conosciuto, sembra poter schiudere interessanti prospettive. L’elevato contenuto di elementi fertilizzanti e di carico organico delle acque di risulta infatti costituiscono caratteristiche preziose da un punto di vista agronomico. La contemporanea presenza di elementi indesiderati deve però suggerire cautela rispetto a comportamenti troppo disinvolti od improvvisati. Tra i parametri analitici che possono risultare critici e che quindi richiedono particolare attenzione citiamo la salinità, il SAR e la concentrazione di tensioattivi, di sodio, di cloro e di rame.
Frazione aeriforme: Recupero energetico tramite biogas.
Il trattamento anaerobico in condizioni controllate porta alla degradazione della sostanza organica, alla stabilizzazione dei liquami e alla produzione di energia sotto forma di biogas, una miscela formata per il 60-75% da metano e, per la quota restante, quasi esclusivamente da anidride carbonica. Come noto, gli impianti di biogas a soli effluenti zootecnici che riguardano nello specifico il nostro caso  presentano diversi vantaggi, i principali dei quali possono essere così riassunti:
Rispetto ad altri impianti alimentati a biomasse vegetali dedicate, occorre precisare che gli autoconsumi sono inevitabilmente più elevati perché le rese per unità di solidi volatili e le concentrazioni di sostanza secca sono più basse e ciò comporta un maggior dispendio per la movimentazione e la miscelazione. Ovviamente a favore degli effluenti zootecnici occorre ribadire che i costi di approvvigionamento sono molto bassi o nulli e a bilancio andrebbero iscritti anche tutti i benefici ambientali di riduzione delle emissioni in atmosfera di gas ad effetto serra e di riduzione delle lamentele della popolazione conseguenti alla distribuzione agronomica di un prodotto ad impatto olfattivo decisamente più basso dell'effluente zootecnico non sottoposto a digestione anaerobica.

CONCLUSIONI

La filiera di produzione lattiero casearia è infatti piuttosto articolata, il latte è uno degli alimenti che derivano dall’allevamento degli animali e quindi porta con sé le criticità tipiche di questa fase mentre gli impatti ambientali dei formaggi e delle paste filate sono tra i più difficili da calcolare, a causa dell’estrema complessità del processo produttivo e dei molti prodotti e sottoprodotti generati. Osservando come gli impatti ambientali sono ripartiti nelle varie fasi del processo produttivo si comprende come alcuni di questi siano dovuti non tanto all’eventuale industrializzazione dei processi, quanto alla natura stessa dell’alimento. Dal confronto dei risultati degli studi analizzati, emergono, infatti, alcuni aspetti contro-intuitivi, ovvero che sono la fase agricola e l’allevamento degli animali, in particolare la fermentazione enterica del bestiame e la gestione delle deiezioni, che determinano il maggior impatto ambientale mentre la trasformazione industriale è poco rilevante grazie all’efficienza raggiunta dai processi produttivi. Il prodotto a minor impatto ambientale lo si ottiene quando l’animale riesce ad avere un’alta resa nella produzione di latte quindi, a parità con animali che hanno una resa minore, produce la stessa quantità di latte in un tempo minore e quindi con una minore quantità di cibo e minori deiezioni. In particolare, come riportato dagli studi bibliografici , una delle caratteristiche che maggiormente migliora gli impatti ambientali è l’efficienza nutritiva del bestiame che è negativamente correlata con l’impronta climatica, acidificazione e eutrofizzazione.
La sintesi del recupero della fase solida tramite compost e della fase aeriforme tramite biogas, andrebbe in futuro implementata con ulteriori tecniche innovative di ottimizzazione del riuso della fase liquida ( percolato ) come fertilizzante in fase liquida/liquido di processo in ausilio all’industria alimentare o di settore. Tali prospettive combinate con opportuni processi di riconversione degli allevamenti tradizionali permetteranno in futuro in misura sempre maggiore di ottimizzare fino a rendere nullo l’impatto ambientale dell’allevamento bufalino e del resto della filiera sul territorio circostante e sul più ampio comparto territoriale in cui tale processo si combina con le altre attività umane.