La bioremediation è, invece, una tecnica biologica che utilizza organismi naturali al fine di abbattere sostanze tossiche o potenzialmente pericolose, sfruttando processi di natura aerobica e anaerobica. Il processo di biorisanamento può essere applicato sia in situ (direttamente sulla matrice ambientale) che ex situ (prelevato e successivamente trattato). Esso si presta in maniera ottimale proprio per la degradazione di idrocarburi e derivati del petrolio non solo per decontaminare suolo e sottosuolo ma anche per acque di falda e superficiali. La bioremediation si basa, quindi, su un principio fondamentale: utilizzare microrganismi viventi per degradare sostanze pericolose o per trasformare i contaminanti stessi in sostanze che abbiano forma e concentrazioni meno pericolose. Si possono sfruttare microrganismi naturalmente presenti nel sottosuolo oppure addizionati allo stesso: attraverso la stimolazione dell’attività catabolica dei microrganismi, essi riescono ad utilizzare i contaminanti organici come una fonte di energia tale per cui si riesce a giungere ad una completa mineralizzazione dei contaminanti, ossia degradandoli in anidride carbonica ed acqua, oppure si può giungere ad una trasformazione in composti meno tossici, in taluni casi sfruttando anche il bioaccumulo dei microrganismi stessi \cite{Cha_neau_2003}.   Il successo di tale tecnica dipende dalla natura e dalla quantità del contaminante da degradare, dalla tipologia della matrice ambientale a cui si applica il processo e alle caratteristiche operative. Trattandosi di una tecnica a basso costo e a basso impatto ambientale, la sua combinazione con il processo di SVE consente di ottimizzare le rese dei processi di rimozione di sostanze contaminanti, come ad esempio il benzene, superando i limiti presenti nel processo di SVE \cite{Gogoi_2003}