Applicazioni

Un primo studio analizzato \cite{Albergaria_2012} riguarda l'applicazione di un processo di SVE a terreni sabbiosi con differenti contenuti d'acqua e che contengono sei dei più comuni contaminanti dei terreni, ossia: BTEX (Benzene, Toluene, Etilbenzene e Xylene), tricloroetilene e percloroetilene. Per questo studio i terreni sabbiosi reali sono stati raccolti a differenti profondità che vanno da 20 cm a 1 m in diversi punti di una spiaggia. In aggiunta ai campioni reali, sono stati preparati anche dei campioni di terreno sintetici,  seguendo un'opportuna procedura per renderli uniformi e omogeneizzarli con diversi contenuti d'acqua (2,3,4 %). I campioni reali di sabbia, invece, sono stati sottoposti al solo setacciamento attraverso setacci di 2 mm e immagazzinati in recipienti chiusi. Sono state considerate delle isoterme di equilibrio, per consentire di mettere in relazione la concentrazione di contaminante nella fase gassosa con la massa del contaminante nella matrice del suolo. Le isoterme di equilibrio di tutti i terreni studiati sono state determinate usando una colonna d'acciaio inossidabile (h=37cm e i.d.= 10 cm) in cui il terreno è stato inserito (4.0 kg) aggiungendo diverse dosi di contaminante (0,025-0,400g). Raggiunto l'equilibrio, il processo di SVE ha avuto inizio: azionata la pompa a vuoto, il tasso di flusso d'aria è stato corretto grazie ad un rotametro. L'aria ha attraversato la colonna, dando luogo a percolazione attraverso la matrice di terreno. I contaminanti in fase vapore sono stati raccolti e poi monitorati con un cromatografo \cite{Alvim_Ferraz_2006}. Per evitare inquinamento atmosferico, i contaminanti emessi sono stati adsorbiti su carboni attivi prima di raggiungere l'atmosfera \cite{Albergaria_2012}
I principali obiettivi di tale studio sono stati: la valutazione di come hanno inciso le proprietà del contaminante, cioè la pressione di vapore e la solubilità in acqua, sul tempo di bonifica ed inoltre la valutazione dell'influenza del contenuto d'acqua sul tempo di bonifica e sull'efficienza del processo. Per tutti i terreni sperimentati, i risultati conseguiti dall'applicazione dello SVE hanno mostrato che i contaminanti con una più alta pressione di vapore (benzene, 86 mm Hg) hanno consentito un processo di bonifica più rapido, in quanto alte concentrazioni di contaminanti risultavano in fase gassosa (fase nella quale la mobilità del contaminante aumenta), riuscendo così ad essere estratti più facilmente dal terreno (Fig.2) \cite{Albergaria_2012}. I contaminanti con una più bassa pressione di vapore (etilbenzene e xylene) invece, hanno mostrato una bassa tendenza a vaporizzare, allungando i tempi di processo (Fig. 2). Inoltre, il tempo di bonifica risulta inversamente proporzionale alla solubilità in acqua del contaminante, poiché vengono a crearsi limitazioni nel trasferimento di massa in fase gassosa che ostacolano l'estrazione del contaminante, aumentando il tempo di bonifica (Fig. 2). Tuttavia, la pressione di vapore ha avuto un ruolo più importante nello SVE rispetto alla solubilità in acqua dei contaminanti stessi (Fig. 2) \cite{Albergaria_2012}. Il contenuto d'acqua nel suolo provoca molteplici effetti sullo SVE: esso riduce, infatti, la porosità del terreno agendo come una barriera tra gli inquinanti e la matrice del terreno stesso (influenzando l'adsorbimento dei contaminanti nel suolo) e dissolvendo il contaminante. Qualora il contenuto d'acqua fosse molto elevato nel terreno, la porosità verrebbe a ridursi, rendendo così il movimento dell'aria nel terreno difficoltoso e, conseguentemente, ciò influenzerà l'efficienza e la durata del processo (Fig. 2). Ciò ha rappresentato un fattore limitante per la rimozione del benzene \cite{Albergaria_2012}. Quelli che sono fattori limitanti nel processo di SVE, diventano invece fattori chiave nel processo di Bioremediation e, proprio per questo, risulta interessante studiare la combinazione delle due tecniche per la degradazione di idrocarburi.
Il secondo studio \cite{Soares_2010}, infatti,  presenta l'efficace combinazione dello SVE con la Bioremediation (BR), che è una tecnica biologica che prevede la partecipazione dell'attività microbica alla degradazione del benzene. Per la bioremediation, un fattore chiave è proprio il contenuto d'acqua nel terreno: studi fatti \cite{Cha_neau_2003}  \cite{Gogoi_2003} su idrocarburi petroliferi hanno mostrato come un elevato contenuto d'acqua sia fondamentale per la biodegradazione (Fig. 2). In maniera analoga, anche il contenuto di sostanza organica risulta un fattore rilevante per favorire il processo di biodegradazione, rendendo più rapidi i tempi di rimozione del contaminante (Fig. 2). Quindi, la combinazione di queste due tecniche è un approccio davvero innovativo per la depurazione di suoli contaminati da idrocarburi petroliferi perché unisce le alte efficienze di estrazione della fase iniziale dello SVE e i bassissimi costi della BR (che permette di superare i limiti dello SVE) \cite{Soares_2010}. In particolare, i campioni di suolo sabbiosi studiati, che sono stati raccolti su una spiaggia alle medesime profondità, dopo aver subito il processo di SVE, hanno presentato livelli di contaminazione di benzene più alti di quelli imposti dalla legge (10 mg/kg). Successivamente, i campioni sono stati trattati con BR, aggiungendo acqua e substrato alla colonna di terreno per incrementare l'attività metabolica dei microrganismi preesistenti ed è stata monitorata la concentrazione di benzene nella fase gassosa del terreno fino a quando non è stata raggiunta la legale soglia di contaminazione, ottenuta grazie alla biodegradazione del contaminante da parte dei microrganismi \cite{Soares_2010}.